E se potessi far sparire il mio autismo?
Fa caldo, il contatto con i vestiti inizia a infastidirmi, sento stringere, le cuciture sembrano opprimermi.
Li allargo, cerco di tenderli. Vorrei strapparli. Tolgo quello che posso togliere.
Niente. Inizio a sentirmi soffocare. Anche la mia stessa pelle inizia a infastidirmi. Appiccica. Lo sfregamento di una parte del corpo con l’altra sembra carta vetrata. Inizio a piangere, a dondolarmi, il cuore pare uscire dal petto. Ho bisogno di pace, non so come trovarla.
Nei periodi stressanti, indipendentemente dal clima, la mia ipersensorialità raggiunge livelli estremi, mi capita di non riuscire a tollerare il mio stesso corpo e questo è terribile.
Vorrei mettere a tacere i miei sensi, stordirli. Vorrei non essere autistica.
Proprio da questi pensieri arriva lo spiraglio di luce, l’opportunità per concentrarmi su altro.
Cosa c’è stato prima dell’autismo?
Tante volte negli anni passati avevo visualizzato un’altra me. Nei miei sogni ero stata mille altre persone, mille altre vite. Nessuna di queste era goffa, disprattica, ipersensoriale, insicura o incapace di interagire. Non c’era attimo in cui non cercassi rifugio in queste fantasie così appaganti (apparentemente) e più sicure e controllabili di quel mondo incomprensibile.
Ovviamente non servivano a nulla, se non a regalare una gioia momentanea, ma che a lungo andare diventava dannosa. Un po’ come quando mangi al fast food troppo spesso, col piacere isolato del pasto devi mettere in conto possibili problemi di salute futuri.
Non mi riconoscevo in nessuna vita, non appartenevo a nulla e quindi ero alla costante ricerca di un mondo in cui stare. Proprio dopo il percorso diagnostico ho trovato il mio angolo di appartenenza e quella stessa pelle che a volte mi sta stretta è diventata anche il mio rifugio reale.
Se potessi cancellare il mio autismo con un colpo di spugna, cosa accadrebbe?
Quella stessa sensorialità che in certi giorni mi devasta, in altri momenti mi aiuta a godere delle piccole cose. Il mio stupore per i dettagli, che fosse un contatto con un tessuto a me gradito o un profumo che amavo, lasciava interdette le persone che mi circondavano. Per me erano sensazioni grandi, piene, gioiose. Esagerate ed enigmatiche per gli altri.
Dopo la consapevolezza le utilizzai come aiuto per comunicare, rendendo partecipi le persone al mio modo di percepire ciò che mi circondava, cercai di dare loro nuovi occhi per diffondere la cultura delle piccole gioie, così bistrattata in un mondo abituato a pensare in grande.
Quelle fantasie di bambina e ragazza mi avevano insegnato a immedesimarmi nelle storie degli altri e, come per la sensorialità, iniziai a coinvolgere chi mi circondava raccontandole. Ebbene sì, immedesimarmi, chi l’ha detto che gli autistici non hanno empatia?
Senza l’autismo non avrei fatto tutto quello che ho fatto finora. Non riuscirei a vedere schemi nelle cose, a montare video nella mia mente ancor prima di farlo al computer.
Avrei moltissimi problemi in meno, certamente, ma anche tutto il resto non sarebbe possibile.
Senza autismo forse avrei meno bisogno di isolarmi ad ascoltare e osservare la natura, ma mi sarei persa gran parte della meraviglia del creato e neppure avrei potuto raccontarla.
Scoprendomi autistica ho imparato ancor più a percepire le differenze di ognuno di noi, ad accettarle, a celebrarle.
Ho imparato a non aver paura delle mie debolezze, a condividerle, a non nascondere le differenze, ma a farne un punto di forza.
Quella che era la mia prigione è diventata l’ancora per la mia libertà.